Questa, è una delle affermazioni attorno alle quali si è consolidata l’ecopsicologia, dando vita alle applicazioni pratiche che caratterizzano questo approccio transdisciplinare dall’ampia visione.

È abbastanza inconsueto che nel mondo contemporaneo – veloce, improntato sulla produttività e su valori materialistici – si parli di sensibilità. Eppure è proprio questo punto di incontro tra persone di provenienza diversa, dal punto di vista professionale, geografico e generazionale, che sentono risuonare qualche cosa in profondità anche solo incontrando ilo termine Ecopsicologia. Da Eco – oikos –  “Natura, casa”, a Psiche – psuké – “Anima, interiorità”, questa disciplina, che si sta lentamente insinuando anche nel mondo accademico in Italia e all’estero, porta proprio alla ribalta la potente combinazione di questi due elementi. Natura e Anima richiamano qualche cosa di profondamente autentico che spesso nel mondo contemporaneo veniamo portati a dimenticare.

Quello che c’è di profondamente autentico è la nostra natura di essere umani. Prima di tutto intrinsecamente connessa a tutto il processo della vita che ha dato forma all’ambiente non solo che ci circonda, ma di cui siamo parte. Quello che c’è di profondamente autentico, anche dal punto di vista della nostra natura personale, è la nostra unicità e irripetibilità individuale. Ognuno di noi è come un seme che arriva in un giardino complesso per portare quel contributo che si tradurrà in bellezza in un contesto di biodiversità.

Oggi si fa un gran parlare di ecoansia, ecolutto, antropocene, cioè di manifestazioni di dolore, disappunto, scoraggiamento, paura, dovuti a tutta la devastazione ambientale che avviene ogni giorno di più. Non un’ipersensibilità da mammolette, è la sana reazione, appunto, dei più sensibili tra noi che sentono che sta avvenendo qualcosa di insano nella nostra relazione col mondo. In prima battuta, tutti questi sintomi denotano molta più salute rispetto alla diffusa insensibilità, apatia (ridotta reattività emotiva) e, ancor peggio, indifferenza (scelta consapevole di disinteresse e noncuranza) che caratterizza la cultura materialistica contemporanea.

Questa maggiore sensibilità, sebbene pesante da vivere individualmente, è proprio l’atteggiamento che ci può salvare, come società,  in quanto espressione della nostra dimensione organica e terrestre che non può essere trascurata e bypassata nel progettare o anche solo immaginare il futuro per la nostra specie.

È una sensibilità che va accolta, prima di tutto. Va rassicurata, ascoltata e tradotta in azione. Questa consapevolezza, fortunatamente, è sempre più diffusa e ormai, anche sui media appaiono articoli che sottolineano l’importanza di non patologizzare l’ecoansia, per esempio, ma di accompagnare l’emozione, intesa come forza lavoro, per canalizzarla verso obiettivi sentiti come significativamente utili, non importa quanto piccoli e locali possano essere.

L’Ecopsicologia questo si propone: accompagnare i più sensibili tra noi e a non sentirsi soli, a creare una rete di alleanze, ad attivare creatività e intraprendenza, e a entrare a far parte di quella che Paul Hawken,  ecologista, imprenditore e giornalista,  chiama “moltitudine inarrestabile” visto che il cambiamento desiderato prima ancora che arrivare dall’alto lo dobbiamo promuovere tutti noi nel nostro piccolo.

E c’è molto, moltissimo che possiamo fare. La figura professionale dell’Ecotuner si propone proprio come “facilitatore di riconnessione col senso di appartenenza nei confronti della Natura e col senso di potere personale nei confronti della realtà in cui viviamo. Occuparsi di ecopsicologia, oggi, vuol dire prendere posizione nella scelta del futuro che vogliamo per noi per i nostri figli e per i figli dei nostri figli.

Photo Credits: Immagine generata da IA


Marcella Danon
Ecopsicologa, direttrice di Ecopsiché
Editoriale maggio 2025 – Ecopsicologia NEWS

 

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