«Ciascuno di noi ha la propria genealogia e la propria carta d’identità terrestre.
Ciascuno di noi viene dalla Terra,
è della Terra, è sulla Terra»

Edgar Morin, Terra-Patria

Quando Cristoforo Colombo ha raggiunto le Americhe, convinto di dirigersi verso l’India, e Magellano, pochi anni dopo, ha confermato la sua intuizione completando il giro del mondo, è iniziata ufficialmente l’era planetaria, un’era in cui, progressivamente, l’essere umano ha avuto modo di riconoscersi sempre più come cittadino di un unico pianeta.

Siamo agli inizi del 16° secolo, la Terra, improvvisamente, dopo più di un millennio di immobilismo geografico-culturale non è più al centro dell’universo, non è più piatta, non è ferma su se stessa. L’Europa scopre l’esistenza di altre civiltà, la pluralità dei mondi umani e la provincialità dell’area giudaicoislamico-cristiana.

Con l’importazione di manodopera dall’Africa alle Americhe si creano i primi ceppi meticci; cereali, frutta, verdura e persino bacilli e virus, cominciano a essere importati da una parte all’altra del globo, si intensificano il commercio marittimo, gli allevamenti, la civiltà cittadina, il progresso della tecnica. Inizia quella che il sociologo francese Edgar Morin chiama l’età del ferro dell’era planetaria, un’era caratterizzata da immigrazione, violenza, schiavitù, un’era in cui siamo ancora immersi, ma in cui cominciano a intravedersi i primi segni di una successiva evoluzione.

Il processo di mondializzazione continua soprattutto nell’ultimo secolo, con il colonialismo, l’apertura dei canali di Suez e Panama, lo sviluppo economico, l’espansione delle comunicazioni, l’inclusione dei continenti soggiogati nel mercato mondiale, il movimento di popolazioni, la crescita demografica.

L’economia diventa mondiale, la diffusione delle idee diventa mondiale, dall’umanesimo illuminista, che afferma l’uguaglianza di diritti per tutti, alla teoria evoluzionista che fa discendere tutti dallo stesso primate, dal socialismo internazionalista con la sua aspirazione all’unità pacifica e fraterna dell’umanità, alle due guerre mondiali, che hanno veramente coinvolto mezzo mondo.

La paura del pericolo nucleare, la consapevolezza della potenzialità di autoannientamento iniziano ad accompagnare il cammino dell’umanità, l’allarme ecologico porta l’attenzione su fenomeni non più locali ma globali, e l’interdipendenza diventa il principio su cui tutto si basa, in campo ambientale come economico: l’insieme subisce le perturbazioni e gli eventi che convolgono le parti, ma a sua volta è presente in tutte le parti, con notiziari, e la diffusione di prodotti alimentari, artigianali, culturali.

Cresce però la disuguaglianza tra paesi sviluppati e sottosviluppati, un problema che relativizza il benessere raggiunto dai paesi euro-occidentali, facendo presente l’esistenza di problematiche sentite sempre di più come ‘problemi del mondo stesso’.

Allo stesso tempo, a partire dall’incontro tra diverse realtà, prende avvio un arricchimento culturale su scala mondiale senza precedenti, si inizia a parlare di mondializzazione della cultura, si formano le basi per un folklore planetario, evidente dagli innumerevoli esempi tratti dal mondo della musica, del cinema e della letteratura, in cui diversi stili e contributi si integrano, dando vita ad un’opera culturalmente nuova.

La telepartecipazione planetaria, che permette, come mai prima d’ora, di essere presenti a quanto accade nei punti più disparati del globo, in tempo reale, per non parlare di internet, che ha creato una rete mondiale di comunicazione senza precedenti.

Ma la conquista forse più significativa per risvegliare la consapevolezza della propria identità terrestre è stata solo nel 1969, quando tutti hanno potuto vedere il pianeta nel suo insieme, nella sua gioiosa bellezza, attraverso non solo le fotografie, ma anche la testimonianza degli astronauti che, come avanguardia dell’umanità, hanno potuto trasmettere un commosso messaggio. “Quando sarà disponibile una fotografia della Terra scattata dall’esterno, ecco che allora nascerà una nuova idea, di potenza pari a tutte quelle comparse nel corso della storia”, aveva predetto nel 1948 l’astrofisico inglese Fred Hoyle!

Dopo questa analisi approfondita, il sociologo francese Edgar Morin, autore del noto Terra-patria, afferma con decisione: “Dobbiamo imparare a essere qui sul pianeta. Imparare a essere, cioè abituarci a vivere, a condividere, a comunicare, a restare in comunione in quanto umani del pianeta Terra. Non più soltanto a essere di una cultura, ma a essere terrestri. Assumere la nostra cittadinanza terrestre è assumere la nostra comunanza di destino.” “Il compito è immenso e incerto — è la frase conclusiva del suo libro — e siamo alla vigilia non della lotta finale, ma della lotta iniziale.”

Un messaggio di speranza, che si somma a quello di altri pensatori e ricercatori che hanno sentito, con altrettanto impegno, la sfida di orientare gli sguardi della gente, in un momento così critico e di transizione, verso orizzonti più vasti, verso futuri possibili, verso realtà ancora da disegnare in un ottica nuova, più aperta, più vasta, in cui il pianeta Terra diventa l’unica possibile bandiera per unificare obiettivi e strategie, senza privilegiare una cultura piuttosto che un’altra, e rispettando, allo stesso tempo la diversità di ognuna.

Nel 1933 il padre gesuita Teilhard de Chardin ha detto “l’era delle nazioni è già passata. Se non vogliamo morire è ora di liberarci dei vecchi schemi preconcetti e di costruire la terra. La terra non diventerà cosciente di se stessa se non attraverso una crisi di riconversione e di trasformazione”. Mentre da Leonardo Boff, teologo brasiliano, il padre della “teologia della liberazione”, arriva non solo l’invito a sperare in un mondo migliore, ma anche a costruirlo, a partire da un impegno personale nei confronti dell’esistenza e, prima ancora, di se stessi.

Il discorso di Boff è concreto, parte dall’esame quotidiano della situazione dalla parte di chi sta peggio, dei paesi cosiddetti in via di sviluppo, si preoccupa di elaborare strategie nel presente perché venga garantito uno sviluppo sostenibile che non pregiudichi le generazioni future, auspicando la crescita dello sviluppo umano più che di quello tecnologico, favorendo l’economia del dono e della condivisione, le attività senza scopo di lucro, ma di utilità sociale; un’economia “con il mercato” e non solo “di mercato”.

E’ una “logica inclusiva della vita” quella di cui si fa portavoce, che entra in dettagli sino a proporre un nuovo tipo di organizzazione politica, in cui accanto allo stato deve essere rafforzata la società civile, per avviare la discussione di questioni legate al bene comune, per costruire le scelte e definire gli orientamenti: “per questo non basta contentarsi di una democrazia di delega, ma, senza prescindere da essa, dobbiamo praticare sempre più una democrazia partecipativa ed ecologico sociale.”

Si arriva così all’importanza di lavorare sull’individuo, di creare le condizioni per la sua emancipazione, crescita, libertà di pensiero, sviluppo delle sue potenzialità di iniziativa e responsabilità. Il giornalista Robert Jungk, che alla ricerca di un futuro diverso e migliore ha intervistato scienziati, medici, sociologi, politici, educatori ed utopisti, delinea così, in sintesi, le qualità dell’uomo del millennio:

  • capacità di giudizio autonomo, di visione a vasto raggio, di previsione e fantasia, per far fronte a complesse situazioni di crisi, individuali e collettive.
  • versatilità e duttilità intellettuale, per affrontare mutamenti rapidissimi
  • tolleranza e spirito di solidarietà, per convivere pacificamente con gli altri, in un epoca di vertiginosa espansione demografica.

“Pianeta Terra” e “individuo” sono così i progetti per il prossimo millennio, due realtà ricche e complesse che possono crescere e prosperare entrambe solo se entrano in sinergia, con un lavoro paziente e approfondito. L’individuo dovrà imparare a sviluppare attenzione, rispetto e collaborazione, con se stesso — prima di tutto — con gli altri e con la vita, e risvegliare la consapevolezza di essere, ognuno di noi, una nota unica e insostituibile, di una sinfonia, che nel pianeta Terra ha il suo ineguagliabile palcoscenico verde e azzurro, affacciato sulla galassia e sull’universo.

Vale la pena ripeterlo: “siamo alla vigilia non della lotta finale, ma della lotta iniziale.”

Marcella Danon