Ogni volta che noi raccontiamo e, ancor di più, ogni volta che “ci raccontiamo”, abbiamo l’occasione di rinnovare la visione del mondo e di noi stessi e di consolidarla attraverso l’affermazione. La parola ha un potere molto forte nel definire il mondo che siamo e il mondo in cui viviamo, nel dare una forma alla nostra visione di noi stessi e quella che abbiamo degli altri… che, a sua volta, racconta ancora di noi stessi, come – vale la pena aggiungere – non tutti hanno chiaro.

Quando esponiamo un nostro punto di vista a qualcuno, quindi condividiamo un nostro pensiero al di fuori del solitario dialogo interno, questa visione delle cose assume una valenza più forte, diventa “più vera” in virtù del fatto che qualcuno ci ha ascoltato ed è testimone di quello che abbiamo detto.

La parola ha grande potere: quando affermo qualche cosa di positivo su qualcuno, la stima per questa persona si accresce, mi sento “impegnato” nel mantenere un’opinione buona di lei; quando affermo qualche cosa di bello su di me, magari scoperto da poco, questa affermazione sancisce un traguardo dal quale non torno più indietro, diventa un impegno… sempre con la complicità indiretta dell’interlocutore.

Questo processo avviene centinaia di volte al giorno per ognuno di noi, nelle piccole e nelle grandi cose, e passiamo il tempo a inventare e reinventare il nostro mondo e il nostro modo di stare al mondo oscillando a seconda dello stato d’animo, del bioritmo e degli eventi, tra prese di posizione più rosee o altre più cupe.

Per prendere in mano le redini del processo e non affidarsi più solo al casuale concatenarsi degli umori, dalla tradizione sciamanica tolteca, arriva un consiglio molto preciso: “Usa la parola in modo impeccabile!”.
“Ne ferisce più la lingua che la spada”, diciamo noi, e il messaggio di fondo è lo stesso: attraverso le nostre parole possiamo apportare dolore o gioia, favorire discordia o conciliazione, invitare alla riflessione o alimentare forti emozioni. Se scegliamo di non andare in automatico, se ci fermiamo per quella frazione di secondo necessaria a centrarci e a prendere in considerazione il contesto, lo stato d’animo in cui siamo e l’obiettivo che ci poniamo, possiamo decidere cosa davvero vogliamo dire, invece di parlare a vanvera con la prima cosa che ci passa per la mente.

Al bando, quindi, anche espressioni d’uso corrente come “che scema”, “che cretino che sono” ecc… Cominciare con l’essere più gentili a parole con se stessi diventa il punto di partenza per un esercizio dell’attenzione e della volontà verso un uso più consapevole della parola.

Creare relazioni ecologiche, un tema centrale nella pratica quotidiana dell’Ecopsicologia, vuol dire assumersi la consapevolezza e la responsabilità del potere della parola, perché ogni volta che parliamo disegniamo un mondo d’ombra o di luce. E ogni volta che facciamo un augurio sentito, che esprimiamo una “bene dizione”, l’energia che ne scatiriusce giunge a destinazione e prosegue nel suo volteggiante percorso, riverberandosi luminosa anche su di noi che l’abbiamo composta.

Possano le tue parole
portare alla luce i pensieri più gioiosi
e i doni più preziosi che albergano
nelle sconosciute profondità del tuo animo.
Possano le tue visioni più belle
trovare spazio e forma
in questo splendido mondo verde e azzurro,
che ha così tanto bisogno
della bellezza che c’è dentro di te,
te che sei parte,
parte ignara, ma parte attiva,
di questo mondo, di questo Universo in divenire.

Ahò

 


Marcella Danon
Ecopsicologa, direttrice di Ecopsiché

Editoriale gennaio 2023 – Ecopsicologia NEWS

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Bibliografia: