Cosa c’è di meglio, per una disciplina transdisciplinare come l’Ecopsicologia, che essere raccontata a due voci, una dal mondo dell’Ecologia e l’altra dal mondo della Psicologia?

È l’iniziativa all’avanguardia che è stata realizzata all’Università della Valle d’Aosta, tra novembre e dicembre 2018, con la codocenza di Giuseppe Barbiero, ecologo, e di Marcella Danon, psicologa; entrambi esploratori nel campo delle scienze di frontiera.

Quella di Aosta è la prima in Italia in cui l’Ecopsicologia è stata inserita nel programma del Corso di laurea in Scienze e Tecniche Psicologiche, rivolta agli studenti del secondo e terzo anno di Psicologia. Una curiosa sincronicità, giacché proprio la Valle d’Aosta è stata la sede, nel 2006, in Valle di Saint Barthélemy, del primo seminario della International Ecopsychology Society – all’epoca era ancora solo European – da cui ha preso avvio una rete internazionale di colleghi presente in 14 nazioni e 4 continenti, che promuovono in ambito accademico e privato la teoria e la pratica dell’Ecopsicologia.

Il mondo ha bisogno di intelligenza ecologica, di partecipazione attiva alla vita sociale e di senso di appartenenza al pianeta. Le sfide della contemporaneità non si giocano solo sul fare ma anche sull’essere, a partire da atteggiamenti di maggior consapevolezza e responsabilità, personale e di specie, nei confronti di ciò che sta avvenendo nel mondo. Siamo una specie ad alto impatto ambientale, se non prendiamo in considerazione le conseguenze del nostro agire, miniamo il nostro stesso habitat. Risvegliare coscienza ecologica non è più una faccenda di cuore sensibile, animo poetico e gusto estetico, è una questione di sopravvivenza; quella nostra, della nostra civiltà, prima ancora che del Pianeta, che di disastri ecologici ne ha avuti tanti e ha sempre saputo riorganizzarsi. Ma una prossima configurazione potrebbe non essere più adatta alla nostra sensibilissima specie, in grado di prosperare solo con ben precise proporzioni di gas nell’atmosfera e a questa pressione.

Come ben sanno tutti gli appassionati dell’ambiente, è difficilissimo sensibilizzare le persone al rispetto degli ecosistemi, dei ritmi naturali, degli altri esseri che condividono con noi la vita sulla Terra; e questo non certo per cattiveria o insensibilità diffusa, ma per semplice ignoranza; nel più candido e innocente senso del termine. La Treccani così la definisce: “l’ignorare determinate cose, per non essersene mai occupato o per non averne avuto notizia”; “Può altresì indicare lo scostamento tra la realtà e una percezione errata della stessa”, recita Educalingo, un dizionario on line. E, insieme, hanno centrato la questione. Nelle ultime generazioni è avvenuto un allontanamento dal contatto diretto con l’ambiente naturale, con la terra, le piante gli animali, la volta stellata, il sapore diverso di ogni stagione ed è stata questa disconnessione che ha reso possibile l’allontanamento, con la testa e col cuore, dalla Natura. «Proteggiamo soltanto ciò che amiamo e amiamo solo ciò che conosciamo»[1]e «non è possibile salvare le specie viventi e l’ambiente senza stabilire un forte legame emotivo con la Natura»[2]. Si riparte da qui.

Ecco perché l’Ecologia ha bisogno dello psicologo, per ricomporre un’alleanza incrinata, per ricontattare un’identità terrestre dimenticata, per risvegliare sana indignazione e impegno attivo per la mancata adeguata cura di quella che papa Francesco giustamente definisce la Casa Comune. Le conseguenze di questa disconnessione sono pesanti e manifeste in tutt’altro ambito, quello esistenziale, guarda caso, quello psicologico. Tanto malessere oggi è causato da uno stato di perdita di senso, di disconnessione da sé, dagli altri dalla vita stessa, da una perdita di mappe per leggere la realtà con un riferimento diverso dalla folle ingordigia materialistica, in cui il mito della felicità è spostato mese dopo mese all’ultimo modello in arrivo di qualsivoglia aggeggio.

Lo psicologo attento si accorge che un vuoto si è spalancato nell’interiorità delle persone e che qualcuno sta abilmente sfruttando questo vuoto per riempirlo di… cose. Ma gli oggetti non sono la risposta a cui anela la persona in difficoltà, la ricerca è più profonda. Perché questa disconnessione sul piano esteriore ha portato con sé una parallela disconnessione sul piano interiore, per cui sempre più difficile diventa anche solo avere l’occasione di porsi la domanda “chi sono io”, e c’è sempre qualcosa o qualcuno che ha la pretesa di dare già la risposta giusta per noi. Ecco che lo psicologo ha un nuovo compito in quest’era che è quello di accompagnare le persone a porsi l’antica domanda socratica, “uomo, chiediti chi sei” e la Natura si rivela un setting ottimale per ristabilire questa connessione più profonda con sé stessi, proprio per poter ritrovare il sentire “fuori”, che risveglia la capacità di “sentire” anche dentro.

Queste le Basi per una collaborazione tra Ecologia e Psicologia, queste le considerazioni che hanno portato alla realizzazione di questo primo corso universitario in Italia.

“Quanti studenti ci saranno?” si stavano chiedendo i due docenti avviandosi verso la prima lezione? “15? 20? Chissà”. Nei corsi liberi è sempre una sorpresa il numero dei partecipanti. Un trillo del telefono arriva sincronicamente per dare la risposta: “L’aula è strapiena, ci sono studenti seduti sulle scale, e altri non riescono neppure a entrare!”, avvisa una ricercatrice dello staff. La prima lezione si è, così, tenuta in aula magna, con… 75 partecipanti. Il numero è rimasto alto anche nelle lezioni successive e gli studenti non si sono tirati indietro neppure quando il programma prevedeva un’uscita, nelle gelide mattinate di montagna a fine novembre e inizio dicembre, all’aperto, nel vicino Parco Saumont.

Un corso, questo, alla triennale, con uno stile già da magistrale. Con molto spazio per l’interazione tra gli studenti, la condivisione, il dialogo, gli esercizi pratici, l’autorganizzazione nella gestione di un gruppo di studio, la sperimentazione pratica. Queste, le perle incastonate in un dialogo fluido ed armonico tra due professionisti che condividono ognuno informazioni, saperi, riflessioni, raccolti in decenni nel proprio ambito di ricerca e interesse. Saperi che, intrecciandosi, creano un quadro ampio e variegato che permette di affrontare da nuovi punti di vista la questione del benessere personale e della coscienza ambientale, non più come due temi staccati, ma come un continuum.

All’interno di questo corso emerge un nuovo orizzonte per la figura professionale dello psicologo che può diventare portavoce e consulente, in diversi ambiti professionali, di una nuova visione unitaria dell’essere umano e del mondo di cui è parte. L’ecopsicologo opera per una riconnessione sul piano dell’identità personale – risvegliando consapevolezza, coscienza di sé, pensiero critico e creativo – e, allo stesso tempo per un consolidarsi dell’identità terrestre, il quarto sapere necessario per l’educazione del futuro secondo sociologo francese Edgar Morin, che sarà quella che permetterà una riorganizzazione intelligente delle nostre presenze sul pianeta in ottica sostenibile.

Ad Aosta si sta lavorando per questo futuro.

[1]ElliRadinger, La saggezza dei lupi, Sperling & Kupfer, Milano, 2018, Cap 2 “Uomini e lupi, un rapporto di odio e amore”, pp. 52.
2]Stephen Jay Gould, Eight Little Piggies: Reflections in Natural History, W.W. Norton & Company, New York, Usa, 1993, pp. 40.